ALFIE VIVE



Alle ore 02:30 del 28 aprile del 2018, il piccolo guerriero Alfie Evans è volato in cielo. Oggi ricorre il suo terzo anniversario della morte e la profonda amarezza per l'ingiustizia perpetrata nei suoi confronti, mi logora l'anima. Alfie era lì che combatteva con tutte le sue forze, era lì ad insegnarci che nonostante le infami regole create dall'uomo, la vita non è mai futile.

Vi racconto brevemente, anche per mantenere viva la memoria del suo messaggio, come il nostro cammino si è intrecciato con quello di Alfie. 

Alfie venne ricoverato a dicembre 2016 e fu attaccato al ventilatore. Dopo pochissimi giorni l’ospedale propose la rimozione dei supporti vitali. Il bimbo non era diagnosticato ma, secondo i medici curanti, le sue condizioni erano così gravi che non ce l’avrebbe fatta e sarebbe morto in brevissimo tempo.

I genitori acconsentirono, mai avrebbero pensato che i medici potessero sbagliarsi. Alfie però dimostrò subito di che pasta era fatto. Respirava da solo. 

Passò del tempo, Alfie aveva dei momenti favorevoli e altri più difficili in cui veniva nuovamente intubato per la respirazione. A giugno 2017 parve chiaro che non poteva stare più senza l’ausilio meccanico perciò i medici riproposero il distacco. 

Tom e Kate vedevano segni di vita in Alfie… a volte apriva gli occhi, sorrideva, stringeva la manina ed era in grado di succhiare il ciuccio e quindi di deglutire. I genitori si opposero e resero pubblica la loro storia. Era lo stesso periodo in cui si concludeva tragicamente la storia di Charlie Gard, altro bimbo di cui tanto si è parlato e per cui tanto abbiamo fatto con Steadfast. Stava per succedere di nuovo. L’Inghilterra non aveva tratto nessun insegnamento dalla battaglia appena conclusa. Sembrava impossibile ma stava andando in una direzione ancora peggiore. 

Eravamo all’inizio del nostro programma LifeAID, ci stavamo strutturando ma avevamo chiaro quale avrebbe dovuto essere il nostro modus operandi: 

- stabilire un rapporto diretto con la famiglia

 - garantire massima discrezione e rispetto 

- illustrare sempre i pro e i contro

 - lasciare alla famiglia libertà di scelta 

Avremmo lasciato ad altri il clamore e la visibilità. A noi non interessavano. Quello che contava era il risultato: salvare Alfie. Ecco perché pochissimi sapevano chi eravamo e cosa stessimo facendo per gli Evans. Abbiamo avuto grossissimi problemi a operare. In tanti volevano aiutare ma senza un coordinamento serio si stava deragliando. Tom e Kate venivano inondati da messaggi da migliaia di persone al giorno. Era difficile per loro capire di chi fidarsi perché qualcuno millantava conoscenze e prometteva la luna. 

Facemmo delle proposte che i team legali iniziali sottovalutarono, purtroppo. Dico purtroppo perché avrebbero potuto essere risolutive probabilmente senza nemmeno arrivare in giudizio. Quando Tom andò da solo in tribunale capimmo che non bastava aiutarli, andavano presi per mano. Purtroppo la prima sentenza era stata emessa: Alfie era stato condannato a morte. I meccanismi giuridici ci erano ormai chiarissimi. La Corte di Appello e la Corte Suprema non avrebbero mai cambiato la sentenza. Vige una sorta di codice d’onore tra giudici per cui non si può dire che ci sia stato un errore di valutazione da parte del primo giudicante. 

La CEDU, come sempre, avrebbe rigettato la richiesta di appello. L’avevamo visto anche con Isaiah Haastrup qualche mese prima quando ci occupavamo del suo caso. Abbiamo pian piano iniziato a far capire a Thomas che, mentre lui stava sui giornali con gli appelli al Papa noi ci saremmo mossi sul fronte diplomatico italiano per ottenere il coinvolgimento dei più alti livelli istituzionali. Avremmo fatto in modo, in una fase successiva, che si creasse il collegamento tra le due parti. Dovevamo agire in fretta senza più curarci di chi si sentiva offeso o scavalcato. Ripeto… volevamo salvare Alfie. 

Aprimmo il canale diplomatico su più fronti: 

- Camera e Senato attraverso l’appoggio di politici con i nostri stessi ideali che aderirono al nostro appello iniziale. In particolare mi sento di ringraziare Simone Pillon, Matteo Salvini e Giorgia Meloni che hanno aderito tra i primi e ci hanno aiutato a rendere nota la storia di Alfie che veniva snobbata dai nostri media.

- il Consolato di Liverpool e l’Ambasciata di Londra con cui abbiamo lavorato a stretto contatto

- la Farnesina che ci dimostrò immediatamente la disponibilità a valutare il caso e veniva aggiornata quasi quotidianamente. Tentammo la via del permesso umanitario. Sapevamo che era difficile ottenerlo perché serviva un accordo bilaterale per non scatenare incidenti diplomatici. L’Inghilterra però non intendeva nemmeno ascoltare. 

Iniziammo a pensare alla cittadinanza. Avevamo valutato con un’associazione di magistrati amica, il Centro Studi Rosario Livatino, alcuni possibili scenari giuridici e ci affiancammo al team legale inglese. Fu chiaro che restava solo quella possibilità per rimettere tutto in gioco. L’intervento del Papa, forte e deciso, aiutava la nostra opera di pressing sul Governo. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù riconfermò la massima disponibilità ad aiutare. Avevamo iniziato a coinvolgere alcuni europarlamentari fino ad arrivare al Presidente del Parlamento Europeo Tajani. 

La mattina in cui era previsto il distacco, Alfie, dopo tanto tempo riaprì gli occhi. In un video che non potremo mai dimenticare Tom mostrava al mondo suo figlio che sbatteva le palpebre e succhiava il ciuccio. Mariella Enoc volò a Liverpool, ma l’ospedale non la volle ricevere. Giorgia Meloni, che tenevamo costantemente informata, fece un appello pubblico al Governo. Thomas nello stesso momento chiedeva all’Italia di salvare Alfie. Ripeteva la frase: Alfie appartiene all’Italia.

Chiamammo Giorgia e le chiedemmo un ultimo sforzo, quello definitivo. Nel giro di 15 minuti ci confermò che era fatta: i Ministri Alfano e Minniti concedevano la cittadinanza. Purtroppo sappiamo come è finita, nonostante gli innumerevoli sforzi fatti anche dopo. L’Inghilterra ha dimostrato per l’ennesima volta che il suo sistema medico giuridico autoreferenziale non intendeva accettare nessuna voce che osava contraddire la sua visione di “qualità della vita”. Il “best interest” di un disabile grave è la morte.

Staccarono il respiratore e Alfie dimostrò a tutti che lui voleva vivere. I dottori si erano sbagliati clamorosamente. Piagato da una infezione e con un polmoncino in cattive condizioni, dopo mesi in cui nessuno aveva provato a svezzarlo dal respiratore, privato di idratazione per 6 ore e di nutrimento per oltre 24, lui lottava ancora. Respirò 5 giorni prima di volare in Cielo. 

Sono qui oggi per ricordare Alfie, la sua famiglia, la sua lotta senza precedenti. Ma sono qui per dirvi che ci ha lasciato un compito da portare avanti. Ogni giorno riceviamo segnalazioni da parte di famiglie di tutto il mondo che ci chiedono aiuto. Vediamo accadere di tutto. Vengono negate le diagnosi, le terapie, l’assistenza domiciliare, le cure palliative. Ad alcuni viene preclusa la possibilità di partecipare a protocolli sperimentali seri e già regolamentati in altri stati in cui gli viene addirittura vietato il trasferimento. Le famiglie vengono lasciate sole dallo Stato che nega gli aiuti economici necessari e a volte anche i medicinali salvavita. Nessuno offre loro sostegno psicologico o religioso. 

È necessario che il Governo italiano mostri un impegno serio, forte, determinato in favore della vita. Dimostriamo all’Europa che la deriva eutanasica può essere fermata. Ogni vita, anche la più fragile è degna di essere vissuta. Non si può lasciare il potere di decidere della vita o della morte di qualcuno a medici e giudici. 

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