ABORTO: VITA, ESISTENZA E COESISTENZA



Che nella gravidanza sia la donna a vivere una esperienza che l'uomo non vive, è un fatto innegabile. Intorno a questo presupposto, si afferma il pensiero che: affinché "il feto possa essere definito vita umana serve il sì della madre che accetta di condurre la gravidanza". Ma è realmente così? 

Secondo questa affermazione potremmo presupporre due cose: 

- che l’aborto  è  considerato  uno strumento per il controllo del corpo, in quanto la libertà è intesa come autonomia e si esige il diritto all’aborto come diritto di autodeterminazione  della  donna, come gestione della sessualità e controllo del corpo;

- che la volontà individuale è considerata prioritaria rispetto al corpo, riducendo il feto ad un mero oggetto di proprietà.  

La  base su cui posa questo pensiero riporta a due cose: alla non individualità del feto, essendo non ancora dotato di autonomia; e al dualismo antropologico, cioè quando la volontà è separata dal corpo, ridotto a entità fisica. 

Secondo questo ‘principio’ -che secondo me non può essere paragonato alla questione dell'utero in affitto- la considerazione del feto come componente eticamente rilevante nella scelta di non abortire, ridurrebbe la donna a mero “contenitore muto e passivo”, non considerandola un “agente morale”. Il feto quindi rappresenterebbe una ‘ingerenza’ all'autonomia e libertà di scelta della madre.

Però l'autonomia non si manifesta solo con il libero arbitrio, ma l’autonomia ha a se anche il limite  della  responsabilità  verso  gli  altri. La  vita  è  un  bene  fondamentale che ha come prerequisito la possibilità dell’esistenza e della coesistenza e quindi anche l’esercizio dell’autonomia. In questo senso eliminare una  vita  non può essere considerato un effetto collaterale, ma è un male in sé. Per tale ragione l’aborto non può essere considerato alla stregua di una mancata assistenza o beneficienza, ma è un attacco diretto alla vita.

Questo mi riporta anche ad una ulteriore riflessione: non possiamo utilizzare il diritto come un espediente per l'applicazione di una ‘legge della giungla’, dove il più forte prevarica sul più debole e quindi utilizzare il diritto come mezzo per applicare una volontà arbitraria. Il diritto è la base per una condizione di coesistenza sociale che non può garantire tutta la libertà, ma deve affermare la libertà di tutti, quindi anche del feto.

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