ARMENIA, DIMENTICATA SORELLA DELL’EST
“È cominciata la guerra, ci bombardano da tutte le parti: droni, bombe, carri armati... Io e mio padre abbiamo preso un fucile e andiamo con altri uomini a difendere la nostra terra. Non c’è quasi nessuna speranza, per ogni uomo armeno, i turchi hanno un carro armato, sono in migliaia, le bombe cadono dal cielo come la pioggia. Quindi ho chiamato per salutarti, forse non ci parleremo mai più”. Questo e i prossimi, sono brevi passaggi tratti dal racconto di Teresa Mikitharyan, fondatrice del “Germoglio”, associazione che ha fondato numerose scuole domenicali in Armenia e nel Nagorno Karabakh. Basterebbe leggere queste righe per capire cosa sta succedendo al popolo armeno. “Dieci milioni di azeri con droni, carri armati, aerei, tutti i tipi di armamenti attaccano 120.000 persone” e di queste “30.000 uomini difendono il diritto di vivere dei 120.000, con fucili da caccia.” Una guerra atroce senza freni, spietata: “c’è una tradizione turca: tagliano la testa degli armeni e la usano come un pallone. Durante l’ultima guerra (nel 2020), per ogni testa tagliata di un armeno, i soldati azeri ricevevano 100 dollari. Appena i turchi entrano in un luogo storicamente armeno, radono al suolo tutte le tracce degli armeni.”
Il Nagorno Karabakh era un'area autonoma situata all'interno dell'Azerbaigian, ma con una forte autonomia, fino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. Stalin aveva creato questa entità, chiamata Oblast autonoma dell'Artsakh (Nagorno Karabakh), con la sua capitale a Stepanakert, principalmente per evitare di creare tensioni con Baku, la capitale azera. Gli armeni del Karabakh avevano ottenuto un certo grado di autonomia già dal 1921, ma Stalin aveva evitato di concedere loro l'indipendenza. Con la disgregazione dell'Unione Sovietica, molte delle repubbliche socialiste che ne facevano parte si sono dichiarate indipendenti, tra cui la Repubblica dell'Artsakh, nota come Nagorno Karabakh. Tuttavia, questa indipendenza non è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite poiché la regione era completamente all'interno del territorio azero, in linea con il principio del "uti possidetis iuris".
Successivamente sono scoppiate guerre a causa delle dispute sui confini e dei diritti della minoranza armena. La Russia, precedentemente alleata dell'Armenia e mediatrice tradizionale nel Caucaso, ha ridotto il suo coinvolgimento nella regione a causa della guerra in Ucraina. Non interessata a un coinvolgimento diretto nella guerra tra Armenia e Azerbaigian, ha preferito un ruolo di mediazione, come già avvenuto nel conflitto dell'autunno del 2020. Questo ha offerto all'Azerbaigian l'opportunità di consolidare e potenziare la sua posizione nei negoziati con l'Armenia riguardo al futuro status del Nagorno Karabakh e dei territori contestati. Inoltre, l'Azerbaigian ha sfruttato la sua crescente influenza sulla Russia, essendo essa fortemente interessata al fine di vedere garantire le rotte di transito verso l'Iran attraverso il territorio azero.
Non da meno, Baku sottolinea il proprio ruolo potenziale come fonte di gas naturale vitale per l'Europa, vista la preoccupazione causata dal declino dell'approvvigionamento di gas russo nel continente. Un grande bluff perchè l'Azerbaigian non assume una posizione chiave nella sicurezza energetica europea. Nel 2022, le forniture di gas provenienti dalla regione del Caspio rappresentavano solo il 3% delle importazioni totali dell'Unione europea, mentre Mosca continuava a coprire fino al 15% della domanda complessiva di gas del continente.
Il presidente azerbaigiano, Aliyev, sembra aver calcolato che Bruxelles non avrebbe reagito in modo vigoroso a sostegno dell'Armenia, proprio per questo contributo sovrastimato di forniture di gas in Europa. Nonostante il bluff, l'Azerbaigian dispone di una leva significativa grazie alle sue risorse energetiche e all'inversione degli equilibri di potere nella regione negli ultimi dieci anni. La posizione della Russia, caratterizzata da un atteggiamento "di lasciar fare", è influenzata da due fattori principali: l'ostilità profonda di Putin verso le cosiddette "rivoluzioni colorate" e la dipendenza attuale di Mosca dall'Azerbaigian, attraverso il quale la Russia vende il suo petrolio all'Europa, presentandolo come proveniente dall'Azerbaigian.
Quindi l'Azerbaigian consolida la propria posizione, mentre l'Armenia è sempre più isolata. Infatti gli azeri hanno sviluppato legami militari stretti con Israele e la Turchia. Allo stesso tempo, le relazioni tra l'Armenia e la sua tradizionale alleata, la Russia, si sono deteriorate dopo la rivoluzione democratica del 2018, che ha scosso l'oligarchia filorussa e ha portato al potere Nikol Pashinyan, l'attuale leader armeno, oggi minacciato dalla Russia per la sua "occidentalizzazione", poiché il paese sta cercando di rafforzare i legami con l'Occidente, anche con il rifiuto di appoggiare l'invasione russa dell'Ucraina. Ecco quindi che Mosca vede questa crisi come un'opportunità per eliminare un'Armenia sempre più orientata verso l'Occidente e sta cercando attivamente di promuovere un cambio di regime a Yerevan.
Un primo ministro, quello armeno, che ha lavorato per normalizzare le relazioni con la Turchia, sperando che questo potesse prevenire un'ulteriore aggressione da parte dell'Azerbaigian. Tuttavia, nonostante più di un anno e mezzo di colloqui sulla normalizzazione, il confine terrestre tra Turchia e Armenia rimane chiuso, e i rapporti diplomatici tra i due paesi devono ancora essere pienamente stabiliti. Ankara sta esercitando pressione su Pashinyan per ottenere ulteriori concessioni nei confronti dell'Azerbaigian, un approccio che sembra essere sostenuto anche dal Cremlino. Quest’ultimo in maniera molto evidente, sta cercando di amplificare l'impatto delle proteste in corso a Yerevan contro Pashinyan, dipingendolo come un leader che mette in vendita la sovranità del suo paese, incoraggiando così le proteste dei nazionalisti nella speranza che ciò porti alla sua destituzione.
A seguito di questi sviluppi, la leadership armena ha recentemente intensificato la cooperazione militare con gli Stati Uniti, prendendo distanza dal suo tradizionale alleato, la Russia. Questo cambiamento è stato motivato dall'apparente indifferenza della Russia nei confronti dell'aggressività dell'Azerbaigian, che è stata percepita come un atto di tradimento. Il primo ministro Pashinyan ha cercato di guadagnare il supporto degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, sperando che ciò avrebbe costituito un deterrente efficace contro le intenzioni aggressive dell'Azerbaigian.
Inoltre, Yerevan ritira il proprio ambasciatore dall'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CTSO), un'alleanza militare formata il 15 maggio 1992 da sei nazioni dell'ex Unione Sovietica dopo la sua dissoluzione. Il passo successivo potrebbe essere l'uscita definitiva dall'CTSO. Ulteriore segnale avviene l’11 settembre con la partecipazione dell'Armenia a esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti sul proprio territorio, nell'ambito delle "Eagle Partner-2023". Questi eventi, sebbene non siano inusuali, sono stati interpretati da diversi analisti come un ulteriore segnale dell'orientamento filo-occidentale del primo ministro Nikol Pashinyan.
Altro gesto di sfida nei confronti della Russia, notizia di poche ore fa, è la ratifica da parte del parlamento armeno dell'adesione alla Corte penale internazionale (Cpi). Ciò comporterebbe che Putin, ricercato dal tribunale dell'Aia per crimini di guerra, se si dovesse recare in Armenia, potrebbe essere arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale. Infatti non è mancata la reazione immediata del portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, che ha dichiarato che ratificare lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale è considerata una azione "estremamente ostile" contro la Russia.
Come già detto, l'Azerbaigian gode del sostegno della Turchia alimentando l’ambizione di Erdoğan nel creare un corridoio che colleghi il Mediterraneo all'Asia centrale attraverso i paesi di lingua turca.
La disputa tra Baku e Yerevan riguarda principalmente i confini tra i due paesi, una questione ancora irrisolta dopo il cessate il fuoco che ha chiuso la seconda guerra del Nagorno Karabakh nel novembre del 2020. Questo conflitto ha suscitato ulteriori ambizioni e interessi di Baku nella strategica provincia di Syunik, nonché il controllo del confine tra Iran e Armenia, noto come il "Corridoio di Zangezur", una strada che collega l'exclave azera di Nakhchivan all'Azerbaigian. Il controllo di questo confine armeno-iraniano è di grande importanza per Baku e il suo alleato Ankara, poiché offre una connettività diretta che attraversa l'Azerbaigian e si estende fino all'Asia centrale di lingua turca, compreso il Turkestan orientale. Questa rotta energetica strategica bypasserebbe la Russia e l’Iran. Si tratta del sogno del "Gran Turan", una visione che alberga nelle menti dei sostenitori di un "mondo turco" unito, che un giorno dovrebbe estendersi in tutti i paesi di lingua turca, dal Mediterraneo fino ai confini con la Cina, compreso il Turkestan orientale.
Questa prospettiva è percepita come una seria minaccia alla sopravvivenza dell'Armenia, che sarebbe circondata da paesi di lingua turca e di fede islamica. Gli armeni temono che i presidi militari creati dagli azeri nelle zone di confine, in violazione degli accordi precedenti, e il controllo totale del Nagorno Karabakh siano preludi a una nuova aggressione.
È importante rettificare che, sebbene il Nagorno Karabakh sia territorio azero, era una regione con una popolazione prevalentemente armena. Ora la situazione si è concentrata su due questioni principali: la rimozione degli armeni dall'area, che sta portando alla loro scomparsa dalla regione, e la soluzione proposta in precedenza più diplomatica, che sembra ormai inutile. Infatti Baku ha condotto un intervento militare in contrasto con gli accordi e le bozze negoziali già concordate, che avrebbero fatto ottenere ciò che desiderava in cambio solo di una forma di autonomia per la regione all'interno del territorio azero e la garanzia dei diritti della minoranza. Baku conducendo una pesante offensiva nel Nagorno Karabakh, ha tradito le aspettative di Bruxelles e Washington, precedentemente rassicurate che non ci sarebbe stata alcuna operazione militare. L’offensiva ha causato una grave crisi umanitaria, con la popolazione del Karabakh isolata per nove mesi a causa del blocco del corridoio di Lachin, l'unica via di approvvigionamento per gli armeni della regione, che ora sono costretti a fuggire. Con il blocco del corridoio di Lachin, il presidente Aliyev ha essenzialmente trasformato il Nagorno Karabakh in un vasto campo di concentramento per i circa 120.000 armeni rimasti intrappolati. Ha completamente ignorato gli appelli provenienti da Bruxelles e Washington, nonché le richieste delle istituzioni internazionali, che chiedevano con forza la fine del blocco del corridoio di Lachin. Questa azione ha dimostrato un totale disprezzo per il diritto internazionale. Inoltre, l'Azerbaigian ha distrutto monumenti cristiani e ha inflitto un isolamento totale alla popolazione armena, negandone i diritti fondamentali all'autonomia culturale e politica. Addirittura, non è disposto a concedere l'elementare diritto all'autogoverno locale e ha bloccato le forniture di energia e i collegamenti, privando così la popolazione di cibo, medicine e carburante. Tutto ciò è stato seguito da bombardamenti sui villaggi, incluso Stepanakert e altri centri. In sintesi, l'aggressione azera rappresenta l'atto finale di una tragedia che mira chiaramente a forzare l'esodo della popolazione del Nagorno Karabakh e alla cancellazione della più antica terra cristiana del mondo.
Quello che l'Azerbaigian ha descritto come una "operazione antiterroristica" è in realtà un'aggressione contro la minoranza armena presente nella regione. Aggressione che può essere qualificata come un crimine contro l'umanità. Le autorità del Nagorno Karabakh sono state costrette a cedere alle richieste dell'Azerbaigian, tra cui il disarmo e la dissoluzione dell'esercito di difesa dell'enclave armena. Inoltre, sono stati avviati colloqui sulla "integrazione del Karabakh" nell'ambito della Costituzione azera, ma senza alcuna forma di autonomia o garanzia dei diritti culturali e politici. Un chiaro ed evidente processo di assimilazione forzata.
Di fronte a queste circostanze, agli abitanti del Nagorno Karabakh non è rimasta altra scelta se non quella di abbandonare i propri villaggi e cercare rifugio altrove. Baku ha scelto di risolvere la questione con la forza delle armi per evitare qualsiasi forma di autonomia o autogoverno locale, come dichiarato apertamente dal governo azero.
Da quando la seconda guerra del Nagorno Karabakh è terminata il 10 novembre 2020, l'Armenia non ha più presenza militare nella regione, ha smesso di sostenere la secessione e ha riconosciuto il Nagorno Karabakh come parte dell'Azerbaigian, chiedendo solamente il rispetto dei diritti della minoranza armena, inclusi quelli legati alla lingua, alla cultura e almeno una qualche forma di amministrazione locale. Tuttavia, ora la disputa si concentra principalmente sul confine tra Armenia e Iran, poiché Baku cerca di ottenere un certo grado di controllo per garantire la continuità con la sua exclave di Nakhchivan ai confini con Turchia e Iran.
L'Armenia è diventata una democrazia dopo la Rivoluzione di Velluto del 2018, sebbene imperfetta e ancora in fase di sviluppo, ha compiuto progressi significativi, anche sotto la leadership filoccidentale di Pashinyan, che Mosca vorrebbe rovesciare. In Armenia si tengono elezioni libere, mentre in Azerbaigian prevale un regime autoritario, simile a quello di Mosca, dove la dinastia Aliyev (padre e figlio) è al potere da un quarto di secolo. In Azerbaigian, il presidente Aliyev vince le elezioni con percentuali superiori al 90%, l'opposizione è praticamente inesistente, e oppositori e giornalisti sono spesso incarcerati. Questi sono aspetti che dovrebbero far riflettere.
Le parole di Teresa Mikitharyan pesano come un macigno sulla coscienza dell’occidente: “ci sono pochissime persone che difendono gli armeni. Ma tutti quelli che difendono l’Armenia lo fanno per amore, per amicizia, senza nessun interesse …Questo mi dà tanta pace.
Invece non c’è nessuno che difende l’Azerbaijan per amore, tutti difendono i loro interessi per la benzina, per il gas e per i soldi.
Infatti il maggior numero dei fatti di corruzione dei politici europei è legato all’Azerbaijan. Per adesso questa battaglia l’hanno vinta i turchi con l’appoggio della comunità internazionale. Ma è meglio perdere con il Signore che vincere con il diavolo. E poi, questa non è la battaglia finale.”
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